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Il taedium vitae da Lucrezio ad Angelina Mango

«Quasi quasi cambio di nuovo città
Che a stare ferma a me mi viene
A me mi viene
La noia
[…]
Muoio senza morire
In questi giorni usati
Vivo senza soffrire
Non c’è croce più grande
Non ci resta che ridere in queste notti bruciate
Una corona di spine sarà il dress-code per la mia festa
[…]
Se rischio di inciampare almeno fermo la noia
Quindi faccio una festa, faccio una festa
Perché è l’unico modo per fermare
[…]
La noia
Muoio perché morire
Rende i giorni più umani
Vivo perché soffrire
Fa le gioie più grandi»

A. Mango, F. Calearo (Madame), D. Faini (Dardust), La noia

«La noia è un’emozione importantissima che non va mai invece sottovalutata. Quando siamo annoiati la nostra mente crea nuovi stimoli. […] La noia permette di riflettere in maniera diversa da quando non sei annoiato perché in quel momento hai più concentrazione su te stesso, vivi un tempo lento. […] Siamo travolti dalle corse e dallo stress e invece dovremmo concederci ogni tanto di essere annoiati. Non è un sentimento negativo anzi, va ricercata». «Le persone temono il dialogo interiore tra sé e sé, hanno paura del silenzio, sono terrorizzate dai propri pensieri e infatti amano stordirsi con chiacchiere e impegni. Quindi fuggono la noia perché scappano da loro stessi, dalle loro responsabilità, dalle loro paure, magari anche dall’esigenza di andare da uno psicologo per chiedere aiuto. In altre parole, non vedono nella noia un’opportunità: quella di rimetterci in moto, su un binario più adeguato a livello emotivo e che ripristina l’armonia del benessere psicologico. Il problema è che stiamo educando anche le nuove generazioni a fuggire dalla noia, riempiendo le vite dei piccoli di impegni serratissimi». «Insomma è un ripristinatore del pensiero attivo. La noia potrebbe essere un momento di meditazione. Ovviamente tutto questo vale per la noia vera, non quella che viviamo mentre facciamo scrolling sui social con il nostro smartphone. Quella non è edificante. È lobotomizzante. Io dico basta all’associazione della parola noia con un’idea negativa: è piuttosto uno stato di sospensione che ci apre la vista delle emozioni

Angelina Mango in M. Procaccini, Angelina Mango e la noia: benefici e virtù di uno stato d’animo sottovalutato, che apre la vista delle emozioni, Vanity Fair, 11 febbraio 2024

«La noia», la riflessione sul tedium vitae, vincitrice di Sanremo 2024, ci accompagnerà come tormentone musicale da qui almeno fino all’anno prossimo. Come la definisce, tagliando corto, Rivista Studio, «una canzone vagamente balcanica che spopolerà la prossima estate negli stabilimenti balneari». Ancora, fanno notare, “potevano vincere in tanti. Le canzoni suonano più o meno tutte uguali, divise in due sottogeneri: la ballata dolente e il pezzo dance”. È a questo punto interessante ampliare il campo di indagine, provare ad esplorare il pensiero di Angelina Mango sul tema della noia, mediato senz’altro dal contributo autoriale di Madame (la cui presenza è abbastanza pesante nella canzone, sia dal punto di vista della musica sia da quella del testo), mettendolo a confronto con chi l’ha preceduta riflettendo su questo importante filone di indagine filosofica. Premetto che non è detto che l’esperimento mi riesca.

Sembra anche che l’interpretazione fornita e per certi versi estesa dalla Mango nell’intervista di cui ho riportato sopra un estratto faccia trasparire un’interpretazione più ottimistica della noia rispetto alla canzone, che si limita a descrivere gli effetti che questa provoca sulla persona e cioè la ricerca incessante di una fuga dalla noia, per poi elogiare il brio che il pathos (la sofferenza) conferisce alla vita.

Già Tito Lucrezio Caro, nel I secolo a.C., affrontava il tema nel terzo libro del suo poema didattico-didascalico De rerum natura, improntato alla filosofia epicurea. Il contesto storico in cui vive Lucrezio è quello dell’avvicinamento della nobilitas romana allo stile di vita ricco, sontuoso e dissoluto dei greci (grazie anche all’afflusso di ricchezze) e l’assetto repubblicano incomincia ad incrinarsi.

«Gravato nell’intimo da un peso di cui non sa individuare né la natura né la causa e che gli provoca un continuo disagio, l’uomo cerca di lenire la sua sofferenza cambiando freneticamente occupazione e luogo, ma invano. In realtà, dice il poeta, egli sta cercando – senza riuscirvi – di fuggire se stesso, quella parte di sé che, se volesse, potrebbe individuare razionalmente la causa del suo malessere indagando le leggi della natura, fino ad arrivare, grazie alla conoscenza, alla pace interiore. L’infelicità è dunque dentro l’uomo, non al di fuori di lui, in un messaggio di straordinaria modernità.» (G. Galbarino)

Se gli uomini potessero, come è chiaro che sentono il peso
che grava loro nell’animo e li tormenta e li opprime,
conoscere anche le cause per le quali ciò avviene,
e perché quel fardello di pena sussista immutato nel cuore,
non trarrebbero la vita così, come ora per lo più li vediamo
non sapere che cosa ciascuno desideri, e sempre cercare
di mutare luogo nell’illusione di trovare sollievo.

Spesso dai sontuosi palazzi irrompe all’aperto colui
che in casa è stato preso dal tedio, ma tosto vi torna
come chi s’è avveduto che fuori non sta affatto meglio
.
Di furia, spronando i cavalli, accorre alla sua fattoria
ansioso come dovesse recare soccorso alla casa che brucia,
ma appena toccate le soglie, ben presto sbadiglia
o inerte si rifugia nel sonno e cerca l’oblio,
o anche in gran fretta ritorna a vedere la città che ha lasciato.
Così ognuno fugge se stesso, ma a questi di certo, come accade,
non riesce a sfuggire e, suo malgrado, vi resta attaccato e lo odia,
poiché malato non afferra la causa del male.

Lucrezio, De rerum natura, III, vv. 1053-1070

Il tedium vitae, connaturato all’animo umano, spinge l’uomo ad una perenne inquietudine a cui non riesce a porre rimedio (Lucrezio troverà la soluzione nella conoscenza del meccanicismo che governa il mondo e nei principi della filosofia epicurea). Anche Angelina Mango descrive una situazione simile (vedi “Quasi quasi cambio di nuovo città” o “Quindi faccio una festa, faccio una festa”).

Flash-forward di quasi due millenni, Søren Kierkegaard e l’angst, l’angoscia esistenziale (che riconduceva all’esistenza della scelta). Tentiamo di uscire dall’angoscia secondo tre modalità: estetica, etica e religiosa. L’esteta non crede nelle leggi etiche tradizionali. Ritiene invece fondamentali e primari i valori della bellezza e del piacere e a essi subordina tutti gli altri valori (anche e soprattutto quelli morali). L’esempio è il don Giovanni di Mozart, un seduttore che passa di donna in donna. «Quindi faccio una festa, faccio una festa. Perché è l’unico modo per fermare […] la noia.» Ma l’esteta ben presto ricade nella stessa noia, più di prima. Chi dedica solo al piacere cade ben presto nella noia, cioè nell’indifferenza nei confronti di tutto, perché, non impegnandosi mai, essendo affettivamente e progettualmente demotivato, in effetti non vuole profondamente e sentitamente nulla. Quando l’esteta, colto dalla noia, si ferma, cioè smette di ricercare il piacere e riflette lucidamente su se stesso, allora è assalito dalla disperazione, si rende conto che la propria esistenza è vuota. (Sorvoliamo sul resto del pensiero di Kierkegaard, pure molto interessante. Kierkegaard conclude poi la sua riflessione con lo stadio religioso e trova la soluzione nell’abbandono a Dio)

Concludiamo questa riflessione con Martin Heidegger, un filosofo che ha riflettuto con grande lucidità sulla condizione umana. Heidegger fa una distinzione fondamentale tra un’esistenza inautentica, caratterizzata da “chiacchiera, curiosità ed equivoco”, che non aggiunge né costruisce niente per la nostra vita (non segna in alcun modo la nostra esistenza, il nostro esserci, non ha rappresentato qualcosa di cui occuparci), e un’esistenza autentica, che invece è caratterizzata da una dimensione progettuale, cioè che effettivamente aggiunge qualcosa, costruisce, è appagante e significativa (mi perdoneranno i più esperti in filosofia se non sono stato precisissimo nella spiegazione), in cui ci prendiamo cura (altra caratteristica fondamentale dell’esserci) delle cose o degli altri. Ebbene Heidegger annovera la noia, come l’angoscia, tra gli stati d’animo fondamentali che possono riportare l’uomo ad un’esistenza autentica. La noia può presentarsi in diversi modi, tra cui “la caccia al divertimento”. In una situazione noiosa invece di cercarne le cause la sfuggiamo mettendola da parte e cercando di dimenticare lei e noi stessi: «In questo non cercar altro, che per noi è ovvio, noi stessi in un certo senso ci scivoliamo via». È il tentativo disperato a cui sembra fare riferimento la parte della canzone in cui si dice «Quindi faccio una festa, faccio una festa, perché è l’unico modo per fermare la noia». Se invece decidiamo di affrontare il problema della noia, senza cerca di sfuggirle, possiamo prenderne coscienza e decidere di uscirne. Allora ciò potrà avere l’effetto “sgomberare il campo” e consentirci di aderire alla nostra dimensione più vera, quella dell’esistenza autentica.

«Si tratta di essere desti […] È un obiettivo molto strano per noi che di solito cerchiamo di combattere la noia e, in fondo, dovremmo solo essere contenti se “dorme”. Se Heidegger vuole ridestarla è perché ritiene che anche noi “dormiamo” nel nostro quotidiano tentativo di passare il tempo e che questo sia un sonno molto dannoso perché ottenebra le nostre autentiche possibilità

L. Fr. H. Svendsen, Filosofia della noia, Guanda, Parma 2004, p. 129

Allora è forse questo l’anello di congiunzione tra la canzone di Angelina Mango, che alla noia presenta in conclusone, dopo una certa serie di tentativi di sfuggirvi, una soluzione nel pathos che la vita può riservarci e poi nella fine e nella brevità della stessa, che rende tutto più significativo («Muoio perché morire rende i giorni più umani, vivo perché soffrire fa le gioie più grandi»), soluzione che non è del tutto soddisfacente, e l’intervista in cui invece effettivamente ha delle posizioni sicuramente meglio ragionate ed elaborate, per certi versi simili ad Heidegger: la noia come spazio in cui è possibile effettivamente, nel momento in cui riusciamo ad uscirne consapevolmente (e non a sfuggirla) costruire qualcosa. “Piuttosto uno stato di sospensione che ci apre la vista delle emozioni”.

Per approfondimenti: https://it.wikipedia.org/wiki/Noia

Di Ferdinando Traversa

Studente di un liceo scientifico barese, volontario di Wikipedia, di Wikinotizie e degli altri progetti Wikimedia, coordinatore regionale per la Puglia di Wikimedia Italia. Appassionato di Informatica, mi piace sviluppare con Ruby (on Rails) e Titanium.


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