Categorie
Uncategorized

L’algoritmo di Ryanair

Questa è l’evoluzione progressiva, giorno dopo giorno (ho incominciato a segnare le date , dei prezzi del volo Ryanair Bari-Bologna. A differenza di quello che si pensa comunemente (e pensavo anche io fino a qualche settimana fa), il prezzo di un volo non è solo una funzione crescente del tempo mancante al volo e del numero di biglietti già venduti, ma ci sono altri fattori che intervengono.

In questo caso siamo partiti da un prezzo di € 25,29 a fine dicembre, passati a € 61,64 i primi di gennaio, di € 59,14 e ben 11 giorni dopo siamo scesi a € 23,91.

C’è un tool molto utile che si chiama AirHint che fa previsione dei prezzi su base statistica (proprio quello che serve, alla fine parliamo sempre di algoritmi, anche se sono a noi oscuri c’è sempre una logica dietro) e aiuta ad individuare la tariffa migliore. È così che sono riuscito a prenotare il 19 gennaio.

Questo è il grafico che rappresenta l’andamento, alquanto strano, dei prezzi del volo
Categorie
Opinioni

Il taedium vitae da Lucrezio ad Angelina Mango

«Quasi quasi cambio di nuovo città
Che a stare ferma a me mi viene
A me mi viene
La noia
[…]
Muoio senza morire
In questi giorni usati
Vivo senza soffrire
Non c’è croce più grande
Non ci resta che ridere in queste notti bruciate
Una corona di spine sarà il dress-code per la mia festa
[…]
Se rischio di inciampare almeno fermo la noia
Quindi faccio una festa, faccio una festa
Perché è l’unico modo per fermare
[…]
La noia
Muoio perché morire
Rende i giorni più umani
Vivo perché soffrire
Fa le gioie più grandi»

A. Mango, F. Calearo (Madame), D. Faini (Dardust), La noia

«La noia è un’emozione importantissima che non va mai invece sottovalutata. Quando siamo annoiati la nostra mente crea nuovi stimoli. […] La noia permette di riflettere in maniera diversa da quando non sei annoiato perché in quel momento hai più concentrazione su te stesso, vivi un tempo lento. […] Siamo travolti dalle corse e dallo stress e invece dovremmo concederci ogni tanto di essere annoiati. Non è un sentimento negativo anzi, va ricercata». «Le persone temono il dialogo interiore tra sé e sé, hanno paura del silenzio, sono terrorizzate dai propri pensieri e infatti amano stordirsi con chiacchiere e impegni. Quindi fuggono la noia perché scappano da loro stessi, dalle loro responsabilità, dalle loro paure, magari anche dall’esigenza di andare da uno psicologo per chiedere aiuto. In altre parole, non vedono nella noia un’opportunità: quella di rimetterci in moto, su un binario più adeguato a livello emotivo e che ripristina l’armonia del benessere psicologico. Il problema è che stiamo educando anche le nuove generazioni a fuggire dalla noia, riempiendo le vite dei piccoli di impegni serratissimi». «Insomma è un ripristinatore del pensiero attivo. La noia potrebbe essere un momento di meditazione. Ovviamente tutto questo vale per la noia vera, non quella che viviamo mentre facciamo scrolling sui social con il nostro smartphone. Quella non è edificante. È lobotomizzante. Io dico basta all’associazione della parola noia con un’idea negativa: è piuttosto uno stato di sospensione che ci apre la vista delle emozioni

Angelina Mango in M. Procaccini, Angelina Mango e la noia: benefici e virtù di uno stato d’animo sottovalutato, che apre la vista delle emozioni, Vanity Fair, 11 febbraio 2024

«La noia», la riflessione sul tedium vitae, vincitrice di Sanremo 2024, ci accompagnerà come tormentone musicale da qui almeno fino all’anno prossimo. Come la definisce, tagliando corto, Rivista Studio, «una canzone vagamente balcanica che spopolerà la prossima estate negli stabilimenti balneari». Ancora, fanno notare, “potevano vincere in tanti. Le canzoni suonano più o meno tutte uguali, divise in due sottogeneri: la ballata dolente e il pezzo dance”. È a questo punto interessante ampliare il campo di indagine, provare ad esplorare il pensiero di Angelina Mango sul tema della noia, mediato senz’altro dal contributo autoriale di Madame (la cui presenza è abbastanza pesante nella canzone, sia dal punto di vista della musica sia da quella del testo), mettendolo a confronto con chi l’ha preceduta riflettendo su questo importante filone di indagine filosofica. Premetto che non è detto che l’esperimento mi riesca.

Sembra anche che l’interpretazione fornita e per certi versi estesa dalla Mango nell’intervista di cui ho riportato sopra un estratto faccia trasparire un’interpretazione più ottimistica della noia rispetto alla canzone, che si limita a descrivere gli effetti che questa provoca sulla persona e cioè la ricerca incessante di una fuga dalla noia, per poi elogiare il brio che il pathos (la sofferenza) conferisce alla vita.

Già Tito Lucrezio Caro, nel I secolo a.C., affrontava il tema nel terzo libro del suo poema didattico-didascalico De rerum natura, improntato alla filosofia epicurea. Il contesto storico in cui vive Lucrezio è quello dell’avvicinamento della nobilitas romana allo stile di vita ricco, sontuoso e dissoluto dei greci (grazie anche all’afflusso di ricchezze) e l’assetto repubblicano incomincia ad incrinarsi.

«Gravato nell’intimo da un peso di cui non sa individuare né la natura né la causa e che gli provoca un continuo disagio, l’uomo cerca di lenire la sua sofferenza cambiando freneticamente occupazione e luogo, ma invano. In realtà, dice il poeta, egli sta cercando – senza riuscirvi – di fuggire se stesso, quella parte di sé che, se volesse, potrebbe individuare razionalmente la causa del suo malessere indagando le leggi della natura, fino ad arrivare, grazie alla conoscenza, alla pace interiore. L’infelicità è dunque dentro l’uomo, non al di fuori di lui, in un messaggio di straordinaria modernità.» (G. Galbarino)

Se gli uomini potessero, come è chiaro che sentono il peso
che grava loro nell’animo e li tormenta e li opprime,
conoscere anche le cause per le quali ciò avviene,
e perché quel fardello di pena sussista immutato nel cuore,
non trarrebbero la vita così, come ora per lo più li vediamo
non sapere che cosa ciascuno desideri, e sempre cercare
di mutare luogo nell’illusione di trovare sollievo.

Spesso dai sontuosi palazzi irrompe all’aperto colui
che in casa è stato preso dal tedio, ma tosto vi torna
come chi s’è avveduto che fuori non sta affatto meglio
.
Di furia, spronando i cavalli, accorre alla sua fattoria
ansioso come dovesse recare soccorso alla casa che brucia,
ma appena toccate le soglie, ben presto sbadiglia
o inerte si rifugia nel sonno e cerca l’oblio,
o anche in gran fretta ritorna a vedere la città che ha lasciato.
Così ognuno fugge se stesso, ma a questi di certo, come accade,
non riesce a sfuggire e, suo malgrado, vi resta attaccato e lo odia,
poiché malato non afferra la causa del male.

Lucrezio, De rerum natura, III, vv. 1053-1070

Il tedium vitae, connaturato all’animo umano, spinge l’uomo ad una perenne inquietudine a cui non riesce a porre rimedio (Lucrezio troverà la soluzione nella conoscenza del meccanicismo che governa il mondo e nei principi della filosofia epicurea). Anche Angelina Mango descrive una situazione simile (vedi “Quasi quasi cambio di nuovo città” o “Quindi faccio una festa, faccio una festa”).

Flash-forward di quasi due millenni, Søren Kierkegaard e l’angst, l’angoscia esistenziale (che riconduceva all’esistenza della scelta). Tentiamo di uscire dall’angoscia secondo tre modalità: estetica, etica e religiosa. L’esteta non crede nelle leggi etiche tradizionali. Ritiene invece fondamentali e primari i valori della bellezza e del piacere e a essi subordina tutti gli altri valori (anche e soprattutto quelli morali). L’esempio è il don Giovanni di Mozart, un seduttore che passa di donna in donna. «Quindi faccio una festa, faccio una festa. Perché è l’unico modo per fermare […] la noia.» Ma l’esteta ben presto ricade nella stessa noia, più di prima. Chi dedica solo al piacere cade ben presto nella noia, cioè nell’indifferenza nei confronti di tutto, perché, non impegnandosi mai, essendo affettivamente e progettualmente demotivato, in effetti non vuole profondamente e sentitamente nulla. Quando l’esteta, colto dalla noia, si ferma, cioè smette di ricercare il piacere e riflette lucidamente su se stesso, allora è assalito dalla disperazione, si rende conto che la propria esistenza è vuota. (Sorvoliamo sul resto del pensiero di Kierkegaard, pure molto interessante. Kierkegaard conclude poi la sua riflessione con lo stadio religioso e trova la soluzione nell’abbandono a Dio)

Concludiamo questa riflessione con Martin Heidegger, un filosofo che ha riflettuto con grande lucidità sulla condizione umana. Heidegger fa una distinzione fondamentale tra un’esistenza inautentica, caratterizzata da “chiacchiera, curiosità ed equivoco”, che non aggiunge né costruisce niente per la nostra vita (non segna in alcun modo la nostra esistenza, il nostro esserci, non ha rappresentato qualcosa di cui occuparci), e un’esistenza autentica, che invece è caratterizzata da una dimensione progettuale, cioè che effettivamente aggiunge qualcosa, costruisce, è appagante e significativa (mi perdoneranno i più esperti in filosofia se non sono stato precisissimo nella spiegazione), in cui ci prendiamo cura (altra caratteristica fondamentale dell’esserci) delle cose o degli altri. Ebbene Heidegger annovera la noia, come l’angoscia, tra gli stati d’animo fondamentali che possono riportare l’uomo ad un’esistenza autentica. La noia può presentarsi in diversi modi, tra cui “la caccia al divertimento”. In una situazione noiosa invece di cercarne le cause la sfuggiamo mettendola da parte e cercando di dimenticare lei e noi stessi: «In questo non cercar altro, che per noi è ovvio, noi stessi in un certo senso ci scivoliamo via». È il tentativo disperato a cui sembra fare riferimento la parte della canzone in cui si dice «Quindi faccio una festa, faccio una festa, perché è l’unico modo per fermare la noia». Se invece decidiamo di affrontare il problema della noia, senza cerca di sfuggirle, possiamo prenderne coscienza e decidere di uscirne. Allora ciò potrà avere l’effetto “sgomberare il campo” e consentirci di aderire alla nostra dimensione più vera, quella dell’esistenza autentica.

«Si tratta di essere desti […] È un obiettivo molto strano per noi che di solito cerchiamo di combattere la noia e, in fondo, dovremmo solo essere contenti se “dorme”. Se Heidegger vuole ridestarla è perché ritiene che anche noi “dormiamo” nel nostro quotidiano tentativo di passare il tempo e che questo sia un sonno molto dannoso perché ottenebra le nostre autentiche possibilità

L. Fr. H. Svendsen, Filosofia della noia, Guanda, Parma 2004, p. 129

Allora è forse questo l’anello di congiunzione tra la canzone di Angelina Mango, che alla noia presenta in conclusone, dopo una certa serie di tentativi di sfuggirvi, una soluzione nel pathos che la vita può riservarci e poi nella fine e nella brevità della stessa, che rende tutto più significativo («Muoio perché morire rende i giorni più umani, vivo perché soffrire fa le gioie più grandi»), soluzione che non è del tutto soddisfacente, e l’intervista in cui invece effettivamente ha delle posizioni sicuramente meglio ragionate ed elaborate, per certi versi simili ad Heidegger: la noia come spazio in cui è possibile effettivamente, nel momento in cui riusciamo ad uscirne consapevolmente (e non a sfuggirla) costruire qualcosa. “Piuttosto uno stato di sospensione che ci apre la vista delle emozioni”.

Per approfondimenti: https://it.wikipedia.org/wiki/Noia

Categorie
Informatica

La nostra content policy

Microsoft, Meta mettiamoci in mezzo anche OpenAI, Google e le altre grandi aziende del settore pensano di avere il diritto (ma forse anche il dovere?) di decidere cosa sia meglio per noi, costringendoci ad un perenne stato di minorità. E se un tempo le decisioni erano demandate a degli esseri umani, adesso è l’algoritmo a decidere. Accusatore, giudice e boia.

Lo spunto per questa riflessione me l’ha dato il rifiuto opposto da DALL-E 2 e da Bing Image Creator alla mia richiesta di creare un’immagine (per un meme) anche abbastanza innocente. Se questi strumenti sono pensati per essere un supporto alla creatività dell’umano, perché non deve essere appunto l’umano a decidere cosa sia giusto e moralmente corretto? Perché deve essere lo strumento stesso ad imporre il suo punto di vista, quand’anche fosse condiviso o condivisibile, in modo assolutamente insindacabile?

Ovviamente la questione in punto di fatto è una quisquilia (fortunatamente, siamo ancora in grado di realizzare qualcosa a mano, anche se impiegandoci più tempo), ma apre il campo a problemi di ordine più generale che ormai fanno parte della nostra vita quotidiana.

Basti pensare agli algoritmi di moderazione dei social media, luogo dove oggi si svolge purtroppo gran parte del dibattito pubblico e perché no anche della comunicazione tra le persone, che spesso bloccano a ragione, ma tante volte bloccano contenuti legittimi senza alcuna possibilità di appello.

Il legislatore europeo è stato lungimirante e con il Regolamento (UE) sulla protezione dei dati personali, meglio conosciuto come GPDR, ha affermato il diritto di chiunque a “non essere sottoposto a una decisione basata unicamente sul trattamento automatizzato, compresa la profilazione, che produca effetti giuridici che lo riguardano o che incida in modo analogo significativamente sulla sua persona” nonché quello di “di ottenere l’intervento umano da parte del titolare del trattamento, di esprimere la propria opinione e di contestare la decisione”.

Articolo 22
Processo decisionale automatizzato relativo alle persone fisiche, compresa la profilazione

1. L’interessato ha il diritto di non essere sottoposto a una decisione basata unicamente sul trattamento automatizzato, compresa la profilazione, che produca effetti giuridici che lo riguardano o che incida in modo analogo significativamente sulla sua persona.

2. Il paragrafo 1 non si applica nel caso in cui la decisione:
a) sia necessaria per la conclusione o l’esecuzione di un contratto tra l’interessato e un titolare del trattamento;

b) sia autorizzata dal diritto dell’Unione o dello Stato membro cui è soggetto il titolare del trattamento, che precisa altresì misure adeguate a tutela dei diritti, delle libertà e dei legittimi interessi dell’interessato;

c) si basi sul consenso esplicito dell’interessato.

3. Nei casi di cui al paragrafo 2, lettere a) e c), il titolare del trattamento attua misure appropriate per tutelare i diritti, le libertà e i legittimi interessi dell’interessato, almeno il diritto di ottenere l’intervento umano da parte del titolare del trattamento, di esprimere la propria opinione e di contestare la decisione.

4. Le decisioni di cui al paragrafo 2 non si basano sulle categorie particolari di dati personali di cui all’articolo 9, paragrafo 1, a meno che non sia d’applicazione l’articolo 9, paragrafo 2, lettere a) o g), e non siano in vigore misure adeguate a tutela dei diritti, delle libertà e dei legittimi interessi dell’interessato.

Tuttavia, la diffusione che l’AI generativa sta già vivendo e vivrà in futuro, unita all’incontestabilità dell’algoritmo (stavolta anche per l’effettiva impossibilità di un appello umano) non potrà far altro che aprire nuove sfide e mettere a rischio “i diritti, le libertà e i legittimi interessi” di noi tutti.

Categorie
Opinioni

Dura lex, sed lex

Qualche giorno fa, per la seconda volta in pochi mesi e sempre nello stesso punto, il cinturino Solo Loop del mio Apple Watch si è spaccato mentre lo stavo togliendo.

Non sono ovviamente l’unico ad aver avuto un problema simile: sono molti gli internauti che lamentano spaccature inaspettate.

Specie in America, Apple si rifiuta di risolvere questo tipo di problema in garanzia e offre invece sostituzioni a pagamento. Ci hanno provato anche con me, ma è venuto in mio soccorso il Codice del Consumo, con cui Apple in realtà non ha mai avuto un buon rapporto.

Molti non sanno infatti che mentre Apple offre una garanzia limitata del produttore di un anno, alle sue condizioni e regole, la Legge Italiana tutela giustamente tutti i consumatori per due anni obbligando il venditore a coprire la merce venduta per ogni qualsivoglia difetto di conformità. Nel mio caso, venditore e produttore coincidono in quanto ho acquistato il cinturino dall’Apple Store Online.

La legge su questo tema è chiara. Infatti, ai sensi dell’art. 130 del Codice del Consumo

1. Il venditore è responsabile nei confronti del consumatore per qualsiasi difetto di conformità esistente al momento della consegna del bene.
2. In caso di difetto di conformità, il consumatore ha diritto al ripristino, senza spese, della conformità del bene mediante riparazione o sostituzione, a norma dei commi 3, 4, 5 e 6, ovvero ad una riduzione adeguata del prezzo o alla risoluzione del contratto, conformemente ai commi 7, 8 e 9.
[…]

Art. 130 Codice del Consumo

Ma cos’è un difetto di conformità? Lo chiarisce sempre il Codice del Consumo, all’art. 129:

2. Si presume che i beni di consumo siano conformi al contratto se, ove pertinenti, coesistono le seguenti circostanze:
a) sono idonei all’uso al quale servono abitualmente beni dello stesso tipo;
b) sono conformi alla descrizione fatta dal venditore e possiedono le qualità del bene che il venditore ha presentato al consumatore come campione o modello;
c) presentano la qualità e le prestazioni abituali di un bene dello stesso tipo, che il consumatore può ragionevolmente aspettarsi, tenuto conto della natura del bene e, se del caso, delle dichiarazioni pubbliche sulle caratteristiche specifiche dei beni fatte al riguardo dal venditore, dal produttore o dal suo agente o rappresentante, in particolare nella pubblicità o sull’etichettatura;
d) sono altresì idonei all’uso particolare voluto dal consumatore e che sia stato da questi portato a conoscenza del venditore al momento della conclusione del contratto e che il venditore abbia accettato anche per fatti concludenti.

Comma 2 art. 129 Codice del Consumo

Come può un cinturino che si rompe semplicemente sfilandolo essere conforme, alla luce delle lettere a) e c) del comma 2 dell’art. 129 del Codice del Consumo?

Mi sono dunque rivolto al rivenditore, con l’intenzione di esercitare i miei diritti di legge, pur scoraggiato dai numerosi commenti negativi online.

È iniziata dunque la Fiera dell’est: ho provato a chiamare la Apple, che mi ha rimandato al centro di assistenza autorizzato. Il centro mi ha poi rimandato al supporto Apple di II livello, in quanto a loro dire sarebbe stato considerato danno accidentale, con mia somma disapprovazione. Dopo un fermo promemoria di cosa prevede il nostro diritto e due giorni di verifiche col dipartimento amministrazione, la pratica è stata approvata e sono stato rimandato al centro assistenza. Ovviamente, lì non avevano idea di quest’approvazione e anzi mi hanno detto che non avrei proprio dovuto essere inviato lì perché neanche li trattano i cinturini! Tuttavia hanno lo stesso ritirato il cinturino rotto…

Tutto è bene quel che finisce bene: richiamando Apple mi è stata confermata l’apertura di “un’eccezione”, cosa che ho prontamente riferito. In effetti il giorno dopo mi hanno avvisato della possibilità di ritirare il cinturino di ricambio.

Solo che non è vero che “tutto è bene”… È possibile che per usufruire di un diritto di legge si debba perdere così tanto tempo? Un giorno vi racconterò della mia epopea mitologica contro la TIM…

Categorie
Wikimedia

I 4 minuti più lunghi della mia vita

Quest’anno Wikimania, la conferenza internazionale dei progetti Wikimedia, cancellata nel 2020 e riproposta in una chiave completamente rivista nel 2021, ha avuto un relatore in più. 😀

Il mio intervento si è tenuto in una sessione riguardante le collaborazioni tra Wikimedia e università insieme alla prof.ssa Maristella Gatto, con cui organizziamo i progetti universitari ad Uniba. È stato difficile condensare in 10 minuti 280 studenti e tante ore di lavoro, ma ce l’abbiamo fatta.

La sessione pre-registrata è andata abbastanza bene, complici anche i numerosi tentativi e fallimenti fatti in mattinata (ecco qui spiegato il titolo del post). Forse me la sono cavata peggio con le domande live, ma è pur sempre il bello della diretta!

Parlando dell’evento in generale, ho avuto modo di partecipare a qualche altra sessione ed è stato divertente incontrare altri Wikimediani da tutto il mondo, in particolare ho molto apprezzato il confronto con gli altri organizzatori di Wiki Loves Monuments nel mondo.

Il sistema usato però (che non era software libero) non mi è piaciuto molto, l’ho trovato parecchio disorientante e dispersivo. Tirando le somme, penso che se fosse stato organizzato meglio avrei potuto fare molte più conversazioni interessanti. Spero prima o poi di poter partecipare ad una Wikimania di persona!

Se avete piacere a vedere il mio intervento, trovate il video sopra. Qui invece c’è un po’ di materiale utile. Non sono riuscito a recuperare, invece, la registrazione del doppiaggio in tempo reale in Arabo, Francese, Tedesco, Spagnolo, Russo e Cinese che Wikimedia Foundation ha messo a disposizione per diversi eventi della conferenza, compreso il mio!

Categorie
Informatica

Il menu accenti non funziona più

Il menu accenti è forse una delle più utili funzionalità offerte da macOS. Si richiama tenendo premuta una lettera e consente di selezionare varie opzioni relative ad accenti e segni diacritici, anche per le lettere maiuscole. È forse quest’ultima opzione che lo rende particolarmente importante per la nostra lingua!

Qualche mese fa però ha incominciato a disattivarsi in modo casuale e senza apparente motivazione. Inizialmente mi sono interrogato sulla questione senza trovare una risposta e ho deciso dunque di procedere nel modo più pigro possibile, cioè dando all’occorrenza il comando per riattivarlo nel Terminale, che riporto qui a vostro beneficio:

defaults write -g ApplePressAndHoldEnabled -bool true

Ad un certo punto mi sono accorto però che il fenomeno si presentava insistentemente quando usavo Parallels Desktop 15, l’ottimo software di virtualizzazione che consente di usare Windows su macOS.

Ho contattato il supporto che ha tagliato corto e mi ha consigliato di provare la versione 16. Effettivamente il problema ha smesso di verificarsi e quindi ho aggiornato definitivamente alla 16 (a pagamento, ovviamente).

Di necessità virtù, però, e così durante il periodo di separazione forzata dal menu accenti ho imparato ad usare anche i comodi shortcut per le lettere accentate maiuscole:

  • È si ottiene con Option (⌥) + Shift (⇧) + E
  • À si ottiene con Option (⌥) + Shift (⇧) + W
  • Ì si ottiene con Option (⌥) + Shift (⇧) + R
  • Ò si ottiene con Option (⌥) + Shift (⇧) + T
  • Ù si ottiene con Option (⌥) + Shift (⇧) + U

Sono dell’idea che usare gli shortcut, quando possibile, consenta a lungo andare di aumentare la produttività, ma ora che l’ho ritrovato, non penso che abbandonerò del tutto il caro menu accenti! 😄

Categorie
Informatica

Perché su Mac sento solo dalla cuffia destra o sinistra?

Da quando ho aggiornato il mio Macbook Pro a macOS Big Sur 11.0, l’auricolare sinistra delle mie Airpods Pro ha smesso di funzionare solo su Mac, mentre continuava ad andare benissimo sugli altri miei dispositivi. Reset, controreset e procedure varie non sono erano serviti a niente, così avevo gettato la spugna, persa ormai ogni speranza.

Cercando in giro però ho notato che delle persone con lo stesso problema hanno risolto semplicemente controllando le impostazioni di bilanciamento nella scheda “Uscita” della sezione “Suono” delle Preferenze di Sistema.

In effetti, il bilanciamento era stato completamente spostato verso destra, isolando così del tutto l’auricolare sinistro. Questo cambiamento di impostazioni si è verificato, in misura minore, anche per altre mie cuffie.

Non conosco la motivazione di questa modifica improvvisa e non richiesta, ma magari anche a voi può essere utile sapere che basta spostare uno slider per ritornare a godere appieno delle nostre cuffie.

Categorie
Informatica Opinioni

Non tanto live

A live stream concert. Ma certamente.

Come potete vedere dall’immagine, stasera a partire dalle 21 era previsto un concerto di Mika in live streaming per aiutare il Libano in seguito alla recente tragedia.

Ho però potuto apprendere a mie spese che il significato di live streaming, il quale mi sembra abbastanza chiaro ed inequivocabile, è sconosciuto a Mika e al suo entourage.

Leggendo durante la promozione dell’iniziativa live streaming e termini simili sembrava lecito supporre infatti che il concerto avvenisse nel momento stesso della trasmissione.

Ciò sembrano averlo pensato anche i commentatori su YouTube quando, esattamente come me, si sono visti davanti al posto di una diretta live, per l’appunto, questa scena.

È un video, un semplice video dalla durata di 1 ora, 35 minuti e 51 secondi, un comunissimo e normalissimo video: insomma proprio il contrario di live streaming.

Evitando le facili battute sul fatto che questa sia una situazione da articolo 640 del codice penale dato che comunque i ricavati dovrebbero essere destinati a scopi caritatevoli, mi sembra che non sia molto corretto da parte dagli organizzatori indurre in errore i consumatori lasciando loro credere che si trattasse di un evento in live broadcasting. Il fatto che si tratti di beneficenza non cambia poi molto.

Mi dispiace molto anche che a chi ha ideato questo show che lascia con l’amaro in bocca sia sconosciuta l’esistenza di un fantastico tool per dirette live e col quale avrebbero anche potuto mettere in piedi questo giochetto in un modo più credibile, volendo. Si tratta di Open Broadcast Studio, un software gratuito e open source, ma sono sicuro ne esistano molti altri anche a pagamento e professionali. Oltre al danno la beffa, insomma.

Livestream ticket dal costo di 10 euro. Mi sembra molto chiaro anche il significato di livestream ticket.
Categorie
Informatica

Una sciagurata idea

Ormai conoscerete le mie avventure con Ghost, dopo averne letto. Saprete dunque che ho rinunciato completamente ad ogni tentativo di installarlo nuovamente. Tra le sue dipendenze c’era mySQL, che non mi serve né ho intenzione di usare, dato che per le mie applicazioni impiego PostgreSQL.

Ho deciso quindi di cancellare, rimuovere, distruggere ed estirpare qualsiasi traccia di mySQL dal mio Ubuntu 20.04 che come saprete è stato da poco installato.

Rimuovo dunque tutti i pacchetti collegati con l’apposito comando e pulisco tutto:

sudo apt-get remove --purge -s 'mysql*'
sudo apt-get autoremove
sudo apt-get autoclean

e trovo sul web un comando per rimuovere

sudo rm -rf /etc/mysql /var/lib/mysql

Leggendo una delle tante guide su come disinstallare mySQL mi sovviene però una pazza, sciagurata, malsana idea! Il (mio) primo risultato su Google per “Uninstall mySQL” dice di dare anche questo comando:

sudo find / -iname 'mysql*' -exec rm -rf {} \;

Senza pensarci troppo do invio e poco dopo mi rendo conto della stupidaggine megagalattica appena fatta. In pochi istanti, esplodono tutte le mie applicazioni.

Quel comando cancella tutti i file che contengono mysql nel nome, purtroppo non solo i file collegati a mySQL hanno mySQL nel nome.

A quanto pare infatti, ci sono anche dei file di un componente fondamentale Ruby on Rails, che sono automaticamente inclusi in ogni applicazione.

Nonostante non abbia capito cosa abbia effettivamente condotto all’errore in cui mi sono imbattuto, ho capito benissimo che una cosa del genere non va fatta a meno che non vogliate essere chiamati dal vostro servizio di monitoring alle 2:00 e dover reinstallare tutte le applicazioni a quell’ora della notte (e menomale che non ci sono stati altri problemi). Chiedo perdono al mio server per le atrocità commesse.


Vuoi sapere quali sono le applicazioni Ruby on Rails di cui sto parlando? Trovi tutto sul mio Github, non saranno fatte benissimo ma almeno possono essere utili 😀

Categorie
Informatica

Addio Ghost

Dopo un anno e qualche mese ho finalmente deciso di intraprendere una buona e giusta migrazione da Ghost, una piattaforma di blogging, a WordPress, sempre una piattaforma di blogging ma a quanto pare decisamente migliore. In questo articolo vi racconto perché e perché dovreste evitare Ghost anche voi.

Un’installazione tormentata

A parole installare Ghost è la cosa più semplice del mondo. Installi le dipendenze, dai un comandino in una cartella da un utente creato ex-novo e le voilà la tua istanza di Ghost è pronta, SSL compreso.

Qualche giorno fa ho cambiato server perché ho trovato un’offerta più vantaggiosa (a proposito, addio 95.217.2.93, ti ho voluto bene) e ho dovuto quindi fare l’intera procedura da capo.

L’installazione è già partita male: l’installer informava di non essere compatibile con Ubuntu 20.04, rilasciato ad aprile 2020 e in esecuzione sul mio server.

Andando avanti, Ghost ha provato a creare il suo utente mySQL e non ci è riuscito perché non compatibile con mySQL 8 incluso in Ubuntu 20.04. Sono stato costretto a farlo io per lui, ma l’installazione è fallita lo stesso, dopo diversi tentativi, o per problemi con SSL o per altri non specificati problemi. Il server non risultava quindi raggiungibile.

Così, mi sono stancato e ho detto basta. Non avevo voglia di perdere altro tempo a risolvere altri problemi (tra l’altro, la prima installazione su Ubuntu 18.04 era andata liscia come l’olio). Era giunto il momento di fare una cosa che avrei dovuto fare da tempo: usare una piattaforma con un minimo di community, di universalità e di supporto.

Eccoci qui dunque, il mio blog ora è su un’installazione WordPress che ha richiesto pochi minuti e non ha dato problemi.

Una migrazione dolorosa

Mi sono reso conto troppo tardi che Ghost, nonostante sia software libero, è una terribile gabbia. Ci sono tanti modi per migrare a Ghost, ma alcun modo per migrare da Ghost.

Insomma, mi sono dovuto arrangiare. Neanche a dirlo, quando ho provato a spostare la mia installazione di ghost da ferdinando.me (questo sito) a blog.ferdinando.me per poter spostare i contenuti con calma su WordPress, si è rotto tutto e sono stato costretto ad esportare i contenuti dal mio blog Ghost sul server e importarli manualmente sul mio computer in un’istanza locale appositamente preparata e collegata al mondo attraverso ngrok. Facendo così, però, sono andate perse le immagini, nonostante abbia importato la cartella content/images e fatto quanto necessario per renderle visibili.

Ho riscontrato pure problemi con l’importazione tramite RSS non ha funzionato quasi per niente. L’unico plugin gratuito parzialmente funzionante tra i tanti che ho provato è stato CyberSEO Lite che ha importato egregiamente solo gli ultimi sei articoli.

Mi sono dunque dovuto arrendere all’evidenza: esportare da Ghost verso WordPress è per me impossibile e quantomeno difficile (magari esiste qualche metodo che non ho considerato).

Per salvare il salvabile ed evitare di perdere altro tempo sono riuscito a far importare automaticamente gli articoli che avevo su Medium, ma dato che il servizio online consigliato dalla maggior parte delle guide si rifiutava di accettare il mio file di esportazione Medium (ritenendolo “troppo grande”), ho dovuto usare l’importazione integrata in WordPress.com ed esportare da lì un file compatibile con WordPress.

Il resto, purtroppo, l’ho dovuto fare a mano.

Conclusioni

Dopo questo anno e mezzo e dopo aver finalmente provato Gutenberg su WordPress, posso serenamente dire che:con l’introduzione di un editor come Gutenberg in WordPress, Ghost ha perso tutto l’appeal che aveva nei miei confronti, quindi non vale la pena imbarcarsi in un’avventura problematica come quella di usare Ghost per un proprio blog, senza tra l’altro possibilità di fuga. Mentre infatti è possibile tranquillamente migrare da WordPress a Ghost o addirittura da Medium a Ghost, fare il contrario vi toglierà tempo e vi provocherà molti problemi, nonostante Ghost sia assolutamente open source. Insomma, il gioco non vale la candela, soprattutto se è nelle vostre intenzioni cambiare nuovamente piattaforma.